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II.


     Or da quel giorno d’ineffabil lutto
Rivolgiamo la mente oltre a sei lune,
E la mesta mia cantica, i solinghi
325Pianti dell’orbo vecchio e di sua figlia
Commiserando, svolga altra vicenda.
     Era una sera: alle vetuste mura
Del baron s’appresenta un fuggitivo,
A cui ferite e febbril sete esausta
330Miseramente avean la voce. Aroldo
Piena di vino gli mandò una coppa
Con questi detti: — Al focolar t’accosta
Sin che apprestata sia la cena, e al sire
Perdona del castel s’ei di sue stanze
335Non uscirà, dove cordoglio il tiene.
     Clara portò quei detti, e il fuggitivo
Che al maestoso inceder cavaliero
Parea e mendìco a’ finti panni, il volto
Pria si coverse, indi con pronti passi
340Balzar tentò fuor della soglia, a guisa
Di mortal che, caduto in impensato
Orribile periglio, aneli scampo.
Ma nella mossa impetuosa a lui
Manca il fievole spirto, e piomba a terra.