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XI

SU LA INUTILITÀ DELLE SATIRE.

— Su via! — mi disse Alcon, — dai molli versi
cessa, e deponi la temprata cetra

a tenera armonia: svegliati all’ire,
prendi quest’arco mio, curvalo e scocca
5contro il vizio satiriche saette.

— Io satire? ah! tu scherzi, o cosa chiedi
impossibil da me. Né scusa è questa
d’ignaro o imbelle arcier; di nero inchiostro
tinger la penna ed aguzzar saprei
10anch’io lo stile, e avrei su che. Nel mondo

vissi gran tempo e non invan; conosco
gli uomini e l’uom; so dell’etá, de’ sessi
i costumi, gli error, le colpe astute,
la libera licenza, e in quante guise
15a mentir nome e a mascherarsi apprese

lo stuol de’ vizi; come sa l’orgoglio
finger modestia, liberali offerte
far l’avarizia, e vereconda a tempo
l’impudenza arrossir, forzate lodi
20l’invidia balbettar, l’odio dar baci.

Né sol nei filosofici volumi
(magra scienza), ma del mondo stesso
nel gran teatro recitar io vidi
l’ateo devoto, l’ impostore accolto
25con lieto viso, e l’uom leal negletto,

il freddo protettore, il falso amico,
il tirannico e il semplice marito,