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55Ben tra’ flutti da poi balzommi il fato,
e borea indi fischiò, sorse tempesta,
si aggirò su mia testa
augel di doppio rostro e d’ira armato
col fulmin tra gli artigli ; 60e a’ miei fremetti ed agli altrui perigli.
Ma, dileguata alfin l’aspra procella ove per poco non rimasi assorto, lasso or mi assido in porto, né giá a novo cammin la navicella, 65cui non piú il mar concesso
sará, ma penso a ristorar me stesso.
Chiare fonti, fresche aure, ombre soavi, or nel dímestic’orto ed ora al campo, prestanmi ospizio e scampo 70dagli strali del sol tanto a me gravi,
e a ravvivar mia lena largo sonno succede a parca cena.
Con mattutina in man tazza, che accoglie salubre in suo amaror d’erbe tesoro, 75Igia onde scenda imploro;
poi sacrifico, il crin d’intatte foglie
cinto e di fior ridenti,
a voi, genio e amistá, numi presenti.
E all’amistá, poiché il promisi, or dono 80di lui, che a Roma il plettro die’, l’imago,
sol della gloria vago, che tu, con cui de’ versi il primo suono bebbi e al cui cor s’annoda fraternamente il mio, del don tu goda. </poem>