alla sua conservazione, che il permettere che una delle tre
parti in maniera accresca o di numero o di qualitá che possa
superar le due altre. Tre parti annoverò Aristotele in questa
republica: i nobili, o ricchi, i mediocri e i plebei; e volle che
in maniera concorressero armonicamente, che se ben tutti alla
elezione de’ magistrati concorressero servata l’ugualitá aritmetica, se doveva però conservarsi, giudicò nell’elezione doversi
servare l’ugualitá geometrica, dando i magistrati maggiori a
quelli, che conoscessero prevalere di bontá, prudenza, e valore:
non lasciando da parte almeno in qualche modo e la nobiltá
e la ricchezza, e proporzionatamente compartendo gli uffici minori, lasciando alla plebe la voce dell’elezione e i suoi guadagni
delle loro arti. Insegnò adunque questo gran maestro, che si
come la bellezza e la perfezione de’ corpi è posta in una delle
proporzioni delle parti tra loro, e se una eccede, si guasta
quella proporzione; e come nell’armonia una voce eccedente
sconcia il concerto, cosí avvenire in questa republica: se a poco
a poco o in numero o in autoritá crescerá la plebe in maniera,
che le altre due parti non possano unite contrapesare, la politía
comune si muterá in democrazia. Come ancora occorrerá, se
una delle parti per caso in guerra fosse uccisa, come a Tarento,
ad Argo e ad Atene scrive esser occorso. Ma perché solo da’
greci pigliamo esempi? Cicerone nel terzo Degli uffici e nel
secondo delle Epistole ad Attico e nella quarta Catilinaria ben
scrisse, la salute della republica romana tutta esser riposta nella
concordia dei tre ordini, de’ quali era composta, senatorio,
equestre e plebeo; e dalla discordia di quelli medesimi nascer
la rovina. De la quale unione d’ordini perché il primo perturbatore fu Gracco, avendo depresso l’ordine senatorio e inalzato
gli altri, fu ancora chiamato il primo distruttore della republica
romana. Cosí in Atene Temistocle avendo depresso la fazione
degli ottimati e principali, e inalzato i popolari, distrusse la
republica di quella cittá politica, e la mutò in popolare e democratica. Il provvedere dunque a questo disordine sará l’andar
ben considerando l’accrescimento della plebe, e vedendo che
accresca, o sotto specie di tener conto della virtú sceglierne