Pagina:Politici e moralisti del Seicento, 1930 – BEIC 1898115.djvu/308

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302 nota


in vita communi, ita ut, iuxta genium seculi quoque nostri, nullus prudens reputetur, qui artem simulandi et dissimulandi non calleat» . Ma il simulare e il dissimulare entrava altresì nelle considerazioni dei moralisti e dei casisti, sulla domanda: An simulare et dissimulare liceat; e sotto quest’aspetto se ne toccava nei tanti volumi di teologia morale1, e anche in qualche libro speciale2. La conclusione consueta era che, in certe condizioni, la cosa fosse lecita, non ostante certe sentenze troppo severe e astratte di Cicerone e di Tommaso d’Aquino, alle quali se ne contrapponevano altre di sant’Agostino e del Grozio, che aveva giudicato: «Cum nec quae scimus, nec quae volumus, omnia aliis aperire tenemus, sequitur ut dissimulare quaedam apud quosdam fas sit3. Che era conclusione irreprensibile, posto che parlare o in altri modi manifestare il proprio animo siano atti pratici che ricevono il loro valore e disvalore dalla volontá buona o cattiva, pura o impura, che li ispira. Irreprensibile, altresì, sotto l’aspetto logico, è la sostanziale identitá che si usava affermare tra il simulare e il dissimulare, distinti tra loro solo come il positivo e il negativo; al che si riduceva la definizione della simulatio come eius quod revera non adest, praetexta praesentia, e della dissimulatio come eius quod revera adest, negata praesentia, della simulatio come rei absentis, e della dissimulatio come rei praesentis .

Ma l’Accetto sentiva tra le due una differenza che, se non era logica, era psicologica (cfr. il § III del trattato): e nell’approfondimento di questa differenza, per opera di un’anima piena della luce e dell'amor del vero e di una sollecitudine morale assai rara nel suo tempo, è il valore precipuo di questo saggio di nuova etica, che anticipa in piú di una pagina l’indirizzo e le sentenze dei piú celebri moralisti moderni.

  1. Basta per tutti rimandare alla posteriore e conclusiva trattazione della Thoeologia moralis del Liguori, libro III, n. 171.
  2. L’Ittig ricorda nella sua dissertazione un libro del Gylich, De simulatione et dissimulatione, che per altro non mi è riuscito di vedere.
  3. De iure belli et pacis, libro III, c. I, § 7.