re vanno sopra il tetto del palazzo, ove abita il Gran Can, e per
virtù dell’arte loro lo difendono dalla pioggia, e dalla tempesta,
talmente, che attorno attorno discendono pioggie, tempeste, e
baleni, e il palazzo non vien tocco da cosa alcuna. E costoro,
che fanno tali cose si chiamano Tebeth, e Chesmir 281, che sono
due sorti d’idolatri, cpiali sono i più dotti nell’arte magica e
diabolica di tutte l’altre genti, e danno ad intendere al vulgo,
che queste operazioni siano fatte per la santità e bontà loro, e
per questo vanno sporchi e immondi, non curandosi dell’onor
loro, nè delle persone che li veggono. Sostengono il fingo nella
lor faccia, nè mai si lavano, nè si pettinano, ma sempre vanno
lordamente. Hanno costoro un bestiale e orribil costume, che
quand’alcuno per il dominio è giudicato a morte, lo tolgono, e
eociono, e maugianselo: ma se muore di propria morte, non lo
281. Tebeth e Chesmir. Il Testo Ottimo rammenta i primi soltanto col
nome di Tobet che erano i Sacerdoti del culto Lamistico (t. I. p. 67. n. c).
Nel ritoccare il testo vi aggiunse Chesmur ossia i Cashmiriani, che avevano
fama di essere incantatori. Sarà escusabile il Polo di avere creduto ai loro incantamenti, quando il leggitore si rammenti che ei visse in un secolo in
cui tutti prestavano fede a quelle fole. Il Bottari nelle sue Lezioni del Decamerone (t. I. p. 111.), osserva che niuno potrebbe credere se non l’avesse veduto che sopra una lenta fune si potesser far giuochi tanto a chi non vi fosse
lunga pezza adusato, impossibili. Chi si potrebbe imaginare che una saltdtri’
ce si capovoltasse o facesse altri salti sopra un cerchio di affilatissime spade
volte colla punta all’insù. Chi crederebbe, ei soggiunge che un uomo facesse
star ritta una spada nuda posta in terra dalla parte del pomo, e postavi una
moneta sulla punta, poscia puntando sopra essa moneta la testa si rivoltasse
colle gambe all’insù, e vi stesse fermo per buono spazio / Ei rammenta gli Elefanti che ballavano sulla corda, e dopo aver noverate più altre meraviglie di
tal natura, le quali umane operazioni, ei riflette, da chi non ne avesse sentore avuto veruno si vorrebbe ad ogni patto che per mezzo di diabolici
argomenti fossero state adoperate. Ed egli è certo che non avvi popolo che in
destrezza di giuochi superi l’Indiano. Tutta l’Europa ha veduti quei giocolatori Indiani, che oltre molti esercizi di una destrezza inimitabile, una pesante
palla di 14 libbre facean scorrere da un braccio all’altro, facendola passare dietro la nuca, e talvolta calare verso la cintola e risalire insù, e dall’un all’altro braccio gittavanla e si vedea su di essi muovere come fosse un piccolo animale che caminasse a sua voglia. Come uno di questi ingojuva sino all’elsa
una spada, cose tutte che sebbene naturali potevano ai creduli sembrare
prestigi. E sono stato assicurato da un colto Cavaliere Inglese, stato nell’Indie
che non oserebbe narrare tuttoció che di straordinario in questo genere vi vide fare per non incorrere la taccia di mentitore in liuropa.