Pagina:Polo - Il milione, Pagani, Firenze 1827, II.djvu/183

Da Wikisource.

146

alcuni possono pigliar moglie. Vi è poi un’altro ordine di religiosi, nominati Sensim 283, quali sono uomini di grand’astinenza, e fanno la loro vita molto aspra, perocchè tutt’il tempo della vita sua non mangiano altro che semole, le quali mettono in acqua calda, e lasciano stare alquanto, finchè si levi via tutto il bianco della farina, e allora le mangiano così lavate, senz’ alcuna sostanza di sapore. Questi adorano il fuoco, e dicono gli uomini dell’ altre regole, che questi che vivono in tanta astinenza sono eretici della sua legge, perchè non adorano gl’idoli come loro: ma è gran diffenza tra loro, cioè tra Y una regola e l’altra: e questi tali non tolgono moglie per qual si voglia causa del mondo. Portano il capo raso e la barba, e le lor vesti sono di canapa, nere, e biave, e se fossero anche di seta le porterebbero di tal colore. Dormono sopra stuoje grosse, e fanno la più aspra vita <li tutti gli uomini del mondo. Or lasciamo di questi, e diremo de’grandi e maravigliosi fatti del Gran Signore, e Imperaior Cublai Can. 284’ Sensim o Sesein, voce che spiega il Marsden (Not. 482) con due monosillabi Cinesi, il primo dei quali secondo il de Guignes significa Sacerdote di Fò. Ma io reputo che dopo avere favellato il Polo della setta di Lama, e di Fo qui parli di quella dei Tao-tse, che significa dottori della legge. Questa è una setta Epicurea, come in altro luogo abbiain detto, originaria della Cina e inventata da Lao-Kiun (t. I. p. 63 n. d). Secondo esso, il saggio non dee avere altro scopo che la pace e la tranquillità, senza curare il passato o l’avvenire, che turbano la quiete dell’animo. I loro sacerdoti sono detti Bonzi: ma siccome la dolcezza della vita è amareggiata dal pensiero della morte, che ne interrompe il corso, si applicano a cercare il segreto di divenire Ckien-Sien che significa uomo immortale, ed ecco perchè il Polo chiama quei settari Sen-Sim (Le Conile Nouv. Memi sur l’Etat. Pres. de la Chin. Paris 1702 t. III. Praef, p. 12).