Pagina:Praga - Memorie del presbiterio.djvu/18

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A quell’età non era, come non fui mai, un cattolico fervente; bensì mi trovavo ancora un cristianello per il quale l’accettar l’ospitalità da un uomo di chiesa, non sarebbe sembrato certamente un derogare ai propri principii religiosi e alla umana dignità. Tanto più con quell’appetito e con quella stanchezza in corpo!

Ahimè! la ricusavo appunto, stavolta, perchè già in due altre occasioni, dacchè mi aggiravo su per quei monti, l’avevo accettata, e con mio inenarrabile danno.

Non vi conterò quanto mi era capitato la prima volta; fu una tragedia che si svolse nelle tenebre di un granaio, fra due lenzuola di colore oscuro e... ciò resterà un eterno mistero.

La seconda volta il mio ospite era stato un prete giovane, dalla faccia color scarlatto, gran bevitore, gran cacciatore e, per conseguenza, gran parlatore. La sua vita domestica e i suoi sproloquii, non rammento se più degni di Casti o di Aretino, erano riusciti a togliermi dall’animo tutto il bene che le aveva fatto, in quindici giorni, la semplice natura.

La possibilità di ricadere nell’afa ammorbata di un sacerdote di simil genere, mi spaventava quasi peggio delle memorie più materiali che serbavo dell’altro.

Chiesi dunque al mio interlocutore, in quanto tempo avrei potuto raggiungere un vicino villaggio, di cui dovetti ripetere più volte il nome ch’ei non conosceva che in dialetto; dialetto spicciativo che faceva un monosillabo di una parola composta di almeno una dozzina di lettere.

— Eh! non meno di tre ore, a camminare spedito; e c’è a due terzi di strada un torrentello che non le consiglio di guadare di notte.