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XLIII

PUR SI BADI

1 Solo per una porta entri nel mondo, n’csci per mille; e in ciò pari ha fortuna, chi stringe scettro, o la mucchetta bruna pasce a la rupe, o a Cloe fiora il crin biondo. Veniam tutti da l’ombra, e a l’ombra in fondo ci asconderem. Né querimonia alcuna, né magica erba, né invocata luna ci riconduce al vivo aere giocondo. Pur si badi al morir. Cinto di rosa, cena il greco elegante, e a l’indomani pugna, e la negra aspetta ora suprema. Beato il varco ove i trecento han posa! L’aquila passa sui sepolcri umani ; e a la rupe d’Antela il cor le trema. 2 Da che l’ora sonò del mio natale, logoro è il bronzo della patria villa, logoro l’atrio e le materne scale; né a le logge fiorite il sol piú brilla. Piú su Pantico il cardellin non trilla de’mici tanti pensier gelso ospitale; morto è il mio dolce tempo; e la pupilla tardi imparò che lacrimar non vale. Datti pace, o mio cor. Dal di ch’io piacqui, cominciasti a perir. Non le mie rive nell’estinto fanciul vivono in parte; non ciò eh’ io dissi al mondo o ciò eh’ io tacqui ; non la speme o l’amor. Ciò, che piú vive nell’estinto fanciullo, è un raggio d’arte. </poem>