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Pagina:Prato - Il protezionismo operaio - 1910.pdf/4

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vecchie nazioni esportatrici di merce-lavoro. Ed è essenzialmente a tale titolo, come indizio cioè del fermo proposito delle classi operaie di non dar tregua alla lotta contro la mano d’opera straniera, che il fatto, troppo presto dimenticato, merita la più seria considerazione.

Non gli Stati Uniti soltanto, ma ormai quasi tutte le moderne democrazie accennano da parecchi anni a velleità schiettamente esclusivistiche; mentre non fa che crescere d’altro lato la corrente migratrice dei più umili strati delle plebi europee. Contrasto impressionante, da cui scaturirà certo uno dei più gravi problemi internazionali del domani, e che fin d’ora non può lasciar indifferente un popolo come il nostro, per il quale l’emigrazione costituirà probabilmente ancora per assai tempo un correttivo indispensabile alla esuberanza demografica, se non anche un contributo essenziale all’equilibrio economico.

Il fenomeno offre d’altronde, dal lato teorico e scientifico, dei punti di vista assai originali, rispetto alle forme, alle manifestazioni ed agli effetti di questo nuovo protezionismo; il quale, pur procedendo da forze e da moventi tanto diversi — come quello che non è, in ultima analisi, se non una manifestazione più grandiosa della tradizionale politica di limitazione della mano d’opera dell’unionismo operaio — risuscita gli impedimenti e riedifica le barriere che il vincolismo despotico del secolo XVIII aveva eretti e moltiplicati, per pregiudizi economici, gelosie di sovranità o diffidenze oscurantistiche, sul libero cammino degli emigranti.

Seduzione di indagine speculativa ed interesse vivo di questione attuale e pratica concorrono quindi nel farmi ritenere non affatto inutile uno studio del vasto movimento cui ho accennato; che si svolge, secondo i luoghi, in foggie diverse e con varia intensità, ma del quale riescirà forse istruttivo indagare, attraverso le differenti incarnazioni, i lineamenti uniformi e le impronte caratteristiche, per cercare di trarne argomento a qualche deduzione generale.

Non passa mese senza che le riviste americane ci mandino l’eco delle dotte controversie a cui il problema — tema di frequenti proposte e dibattiti nei consessi politici — da luogo altresì nelle riunioni e nelle pubblicazioni dei pit autorevoli corpi accademici. Sorge da esse e si concreta in lineamenti di giorno in giorno più precisi la fisionomia politica e giuridica di quel diritto di esclusione, che, applicato dapprima empiricamente come semplice concessione alle esigenze di partiti interni, tende gradatamente a teorizzarsi foggiandosi a sistema scientifico.

In una discussione che tocca tanto da vicino gli interessi più vital dell’espansione nostra, parmi sarebbe legittimo e altamente