Pagina:Prose e poesie (Carrer) III.djvu/309

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che venutigli dal di fuori, li crede nati in sè stesso, e quindi li accarezza come proprii figliuoli, si tiene ad essi tenacemente abbracciato, li difende con ogni guisa di coraggio e di pertinacia.

Una delle prove più palesi di quanto abbiamo detto finora si è l’ironia. Vedete bene, ella comincia appunto dove il suo opposto finisce; potrebbesi dire che prendesse le fila che pendono all’estremità della tela, per intrecciarle nel suo nuovo lavoro. Vuol essa inspirare il disprezzo? Incomincia dalle più smaccate adulazioni, iperboleggia nelle lodi, profonde i superlativi: a prima giunta non sapresti ben dire se continui ancora l’apoteosi, e la diffamazione è di già incominciata.

Se non fosse vero il proverbio gli estremi si toccano, come potrebbesi trovar ragione al ridere che si fa talvolta vedendo chi sdrucciola o incespica per modo alquanto bizzarro? Ho udito dire a taluno che ciò possa nascere da convulsione, e per un moto quasi simpatico propagatosi alla vista di que’ scontorcimenti che fa per lo più chi scivola o inciampa. La cosa ha dell’astruso, e dell’incerto, e per poco non direi dell’assurdo: laddove il dire che quelle incomposte attitudini, tenendo molto della caricatura, eccitano il riso, che dalla caricatura si risveglia solitamente, è secondo ragione, o che parmi, e non è punto difficile ad essere inteso.