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canto decimosesto. 329

22 Ed ordinossi un convito sì magno,
     Che simil forse non fu ancor veduto.
     Disse Rinaldo al suo caro compagno:
     O Ulivier, qui bisogna il tuo aiuto.
     Vadiane Persia e ciò ch’io ci guadagno,
     Fa che tu abbi a tutto provveduto;
     E vo’ che di tua man serva costei
     Per lo mio amor, com’io per te farei.

23 E s’io ti fe’ mai gentilezza alcuna
     Di Forisena e di Meridiana,
     Fa’ che qui cosa non manchi nessuna,
     Da onorar questa gentil Pagana.
     Disse Ulivier: Così va la fortuna;
     Cércati d’altro amante, Luciana;
     Da me sarai d’ogni cosa servito.
     Ed ordinò di subito il convito.

24 Furno al convito le vivande tutte
     Che si potevon dare in quel paese,
     Con preziosi vin, confetti e frutte;
     Furonvi tutte le dame cortese
     Della città, nè creder le più brutte:
     E sempre di sua man servì il marchese,
     Massime Antea con molta riverenzia,
     Di coppa, di coltello e di credenzia.

25 Fatto il convito, vennon molti suoni,
     Acciò che meno il giorno lor rincresca,
     Trombe e trombette, e nacchere e busoni,
     Cembolo e staffa2 e cemmamelle3 in tresca,
     Corni, tambur, cornamuse e sveglioni,4
     E molt’altri stormenti alla moresca,
     Liuti e arpe, e chitarre e salteri,
     Buffoni e giuochi, e infiniti piaceri.

26 Così passorno il giorno con gran festa:
     Ma poi che ’l sole in Granata s’accosta,
     La gentil donna con voce modesta
     Disse, che al tutto tornare è disposta,
     Benchè tal dipartenza gli è molesta,
     Al gran Soldan ch’aspetta la risposta:
     E ’l terzo dì, come promesso avea,
     Essere armata in sul campo dicea.