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canto ventesimoquarto. 231

109 Vanno per l’aire come uccel vagando
     Altre spezie di spiriti folletti,
     Che non furon fedel nè rei già quando
     Fu stabilito il numer degli eletti:
     Non so se ’l mio Palmier qui venne errando,
     Che par di corpo in corpo ancor gli metti,
     Onde e’ punge la mente con mill’agora
     Esser prima Euforbio e poi Pittagora.

110 E forse qui s’inganna il Tianeo,
     Che si ricorda, dice, esser pirato,
     E come e’ prese un altro in mar più reo,
     E come gentilezza gli ebbe usato.
     Or tu potresti dir qui d’Asmodeo;
     Ed io rispondo ch’egli è figurato
     Il detto della Bibbia, dove e’ narra
     Come egli uccise que’ mariti a Sarra.

111 Dunque Malgigi e gli altri nigromanti
     Ci posson cogli spiriti tentare;
     Ma non poteva uccidere i giganti
     Per arte, o il fuoco i démoni appiccare;
     Potea ben fare apparir lor davanti
     Il bosco, e lor vi potevano entrare
     E non entrar: ch’a nessuno è negato
     Libero arbitrio, che da Dio c’è dato.

112 Potean gli spirti ben portare il fuoco,
     Ma non poteano accenderne favilla;
     Così vo discoprendo a poco a poco,
     Ch’io sono stato al monte di Sibilla,
     Che mi pareva alcun tempo un bel giuoco:
     Ancor resta nel cor qualche scintilla,
     Di riveder le tanto incantate acque,
     Dove già l’Ascolan Cecco mi piacque.

113 E Moco e Scarbo, e Marmores allora,
     E l’osso biforcato che si chiuse
     Cercavo, come fa chi s’innamora:
     Questo era il mio Parnaso e le mie Muse;
     E dicone mia colpa, e so che ancora
     Convien ch'al gran Minosse io me ne scuse,
     E riconosca il ver cogli altri erranti,
     Piromanti, idromanti e geomanti.