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canto decimonono. 67

112 O maladetto, o sventurato loco!
     Quivi senti’, Morgante, il lusignuolo,
     Colà fu’ traportata a poco a poco
     Dal suo bel canto d’uno in altro volo:
     A me pareva a sentirlo un bel giuoco,
     Vedi che ne seguì poi tanto duolo!
     Ringrazio te, che m’hai qui ricondotta;
     E sarò savia, s’io non fui allotta.

113 E mosterrotti ch’io non sono ingrata;
     Ed arò sempre scritto nel mio core,
     Come tu m’abbi prima liberata,
     E con quanta onestà, con quanto amore
     Tu m’abbi per la via poi accompagnata;
     Chè non è stato il servigio minore.
     Come fratel, come gentil gigante
     Ti se’ portato, e non come mio amante.

114 Potevi di me far come Beltramo:
     Non hai voluto; ond’io come fratello,
     Come tu ami me, certo te amo:
     Così ti tratterò nel mio castello;
     Così Margutte vo’ che noi trattiamo,
     Bench’e’ fussi alle volte tristerello.
     Disse Margutte: S’io feci tristizia,
     Tu dè’ pensar ch’io nol feci a malizia.

115 Ecco ch’egli eron già presso alle mura
     Di Filomeno, or ecco che son drento;
     E ’l popol guarda la grande statura
     Di quel gigante, che dava spavento;
     Ma la fanciulla ignun non raffigura.
     O padre suo, quanto sarai contento!
     Ch’ogni improvviso ben più piacer suole,
     Come il mal non pensato anco più duole.

116 Filomen, che venir sente il gigante
     Colla fanciulla e con un suo compagno,
     E ch’e’ si fa verso il palazzo avante,
     E che parea molto famoso e magno:
     In questo mezzo appariva Morgante;
     Filomen disse: Iddio ci dia guadagno;
     Chi fia costui? e che fanciulla è questa?
     Non mi trarrò però la bruna vesta;