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168 eugenio anieghin

notte, e mischia i suoi trilli al garrir della fonte; li sboccia la rosa selvatica; là s’inalza una pietra sepolcrale adombrata da due pini annosi. Si legge sulla lapida questa iscrizione:

«Qui giace Vladimiro Lenschi, che morì giovane della morte dei valorosi, nell’anno...... in età di..... Riposa in pace, o gentil vate.»

Altre volte, una ghirlandetta misteriosa appesa ai ramoscelli curvi, si librava al soffio matutino; altre volte, verso sera, due amiche visitavano quel luogo, e abbracciate, piangevano su quella tomba, al chiaror della luna. Ma adesso il monumento funebre è obliato. Sul terreno che lo circonda non s’improntan più le consuete orme.... la ghirlandetta rorida più non tremola ai ramoscelli del pino. Solo il pastorello canuto e infermo vi viene come prima a lavorar, cantando, le sue rozze scarpe di scorza.

Povero Lenschi! La giovinetta stanca cessò di piangere e mancò di costanza nel dolore. Un altro attrasse li sguardi di lei, un altro seppe, a forza di premure, sopire il di lei affanno; un Ulano l’ha invaghita. Eccola appiè dell’altare.... essa arrossisce sotto la corona nuziale, e china modestamente il capo; li occhi suoi volti a terra sfavillano d’amore; un dolce sorriso splende sulle sue labbra.

Povero Lenschi! Nel tuo sepolcro, nel palazzo della muta eternità, ti sdegnasti di quel tradimento? Oppure, addormentato in grembo a Lete, insensibile e beato, rimanesti indifferente a tal perfidia? Chè forse dopo la tomba più non ci cal di questa terra.... Nè la terra più si cura di noi. La voce degli amici, dei nemici, delle amanti, in un subito tace. I voraci