Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/46

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il prigioniero del caucaso. 5

della onesta calunnia, egli lasciò il patrio nido, e apostata della società, spiegò l’ali verso una riva longinqua, colla libertà per guida e per compagna.

Ma ormai son caduti nel nulla tutti i suoi progetti, le ultime sue illusioni son andate fallite: egli è schiavo. Posa il capo sopra un masso che indorano li estremi riflessi del crepuscolo vespertino, e aspetta la morte. Già la luce del giorno è spenta. Uno strepito tumultuoso sorge in lontananza; i malandrini riedono agli aúl, armati di falci. La brace sfavilla nei focolari; a poco a poco il rumore si va placando, la calma e il riposo occupano la terra. La luna dirada l’oscurità e a quel tremolo bagliore l’occhio discerne nella valle un ruscelletto che saltella spumante di balza in balza, e le nuvole che s’attorcono qual turbante alle vette serene dei monti. Ma chi s’avanza con passo cauto e lento sotto la face dell’astro notturno? Il Russo si desta; vede una fanciulla circassa che a lui s’appressa; la mira con mestizia, ed esclama: “È un sogno quel ch’io miro, è una larva suscitata dalla mia delirante fantasia?".... Col bel volto suffuso d’un sorriso di simpatia la vergine s’inginocchia accanto al prigioniero, e gli mesce una tazza di kumi1 rinfrescante. Egli afferra la tazza, ma non pensa a gustarne; sugge invece i soavi raggi che piovono da quei begli occhi, e invaghito della vezzosa incognita, si affatica, ma indarno, di comprendere i suoni che vibrano su quelle rosee labbra. Non penetra il senso delle parole non udite avanti, ma capisce bensì la grazia di quello sguardo, il rossore di quelle guan-

  1. Bevanda fatta d’acqua e di latte di cavalla agro.