Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/48

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il prigioniero del caucaso. 7

perduta libertà, e sembrava essersi per disperazione rassegnato al suo nuovo e crudel destino. Durante le fresche ore mattutine, egli si reca a stento fra gli ispidi scogli; getta l’avido sguardo sulle lontane schiene dei monti grigi, cerulei, biondeggianti, maraviglioso quadro dipinto dalla natura. Le loro ardue sommità gli appariscono quai troni delle nevi eterne e delle tempeste. Framezzo a quei vertici sublimi spiccasi l’Elboro, colosso bicipite, cinto d’un diadema di gelo il cui splendore gareggia col chiaror degli astri. Allorchè scoppiavan le saette e rimbombava la voce del tuono mista a quella dei turbini, oh quante volte il prigioniero si fermò immobile sul cucuzzolo d’un poggio che sovrastava all’aúl! Le nubi fluttuavano come mare sotto ai suoi piedi; una colonna di polvere rotava per la steppa; il cervo impaurito ricoveravasi nelle caverne; le aquile si libravano inquiete intorno ai precipizi, e assordavano l’eco con acuti schiamazzi; il calpestio dei cavalli, il muggito degli armenti, facevan coro al suon della bufera. La grandine e la pioggia scrosciavano sui prati pei fori delle nuvole indorate dallo splendor dei lampi; mille torrenti, nati in un momento sulle groppe dei monti, squarciavano il terreno in ogni dove, e rovinavano abbasso levando seco ingenti blocchi di granito.... Il prigioniero frattanto solo sulle alture dietro il nembo e la folgore, aspettava che riedesse il sole apportator di calma, e ascoltava con secreto diletto l’impotente furore della burrasca.

Ma con maggior dolcezza ancora osservava egli i costumi di quei popoli, le loro pratiche religiose, il loro modo d’educazione. Ammirava la semplicità,