Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/64

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Presto! Presto! I corni rimbombano; i bracchieri in gran gala stanno in sella sin dall’alba; i levrieri saltellano nei guinzagli. Il signore s’avanza sul verone, colle mani puntellate ai fianchi; esamina ogni cosa, e una amabile serietà gli splende sul volto. Ha indosso un soprabito tartaro, un coltello turco a cintola, una boccetta di rum ad armacollo, e un corno appeso a una catena di bronzo. Sua moglie, colla scuffia da notte in capo, con un semplice fazzoletto sulle spalle, tutta sonnacchiosa e indispettita, osserva dalla finestra quella turba d’uomini e di cani. Arriva il cavallo del padrone. Questi impugna la criniera, inforca gli arcioni, e grida alla consorte: “Non m’aspettare!” E tosto sprona, e via.

Negli ultimi giorni di settembre (per parlare come si parla in prosa) la campagna è noiosa; piove, fa della mota, tira vento, neviscola, e i lupi ululano intorno alle ville. Ma questo appunto è ciò che piace al cacciatore! Sdegna egli le mollezze della vita; lancia il corsiero nelle vaste campagne; cangia ogni sera soggiorno; bestemmiando, inzuppandosi, e mangiando a più non posso, insegue le fiere e ne fa orrenda strage.

Ma che sarà della signora, durante l’assenza del