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Ancor fanciullo egli tanto era amato dai propri condiscepoli di Firenze, che quando egli lasciò questa città essi corsero per un pezzo dietro la diligenza, salutandolo con «evviva l’Inglesino».

Fu nel 1856 che io vendetti il mio primo quadro e lo vendetti a Leighton. Questo quadro aveva per soggetto la barca con i pescatori dormienti alla sua ombra, che avea ospitato Mason e me sulla spiaggia di Tor Paterna.


In quel tempo si formò, in Roma, un gruppo di amici pittori cercatori di arte, ma ciascuno per la propria via. Erano in questo gruppo: Boecklin, David, Plocck, Mason, Benouville, Zaner, Lembach, Wilde e Coleman l’Inglese — c’era anche un pittore americano di questo nome — del quale, tanto Mason che io, riconoscevamo l’artistica paternità.

V’erano pure allora in Roma i paesisti romantici Franz Dreber e Castelli, contro i quali noi eravamo in combattimento.

Verso il 1853 ci affiatammo col Vertunni. Questi, sotto l’influenza di Franz Dreber fece la «Pia dei Tolomei». In seguito, influenzato da Filippo Palizzi, si volse alla ricerca di un’arte più semplice. Andò alla Torre di Astura, fece nelle macchie studi sui rapporti in natura, ma esagerati e volgari di fattura e di sentimento; comunque in una miglior via che per il passato. Fece una palude con animali bovini, nella quale ebbe Filippo Palizzi assai parte col consiglio e con la mano.

Vendette questo quadro a pochissimo prezzo a Dovizielli. Per parecchi lustri l’ho veduto nella vetrina di questo.

Io credo Vertunni essere stato il primo a rompere con l’antico costume di vita patriarcale degli artisti di Roma ed a metter sù la bottega di lusso per i Signori forestieri.

Egli stesso parlò a me in proposito. Bisognava, secondo lui, montare uno studio da sbalordire per acchiappare i grossi pesci stranieri che rimontavano il Tevere. E mi disse pure, il Vertunni, che non bisognava badar a far debiti; che, anzi, facendone si otteneva di interessare i creditori a procurare la vendita dei propri quadri.