Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/226

Da Wikisource.

— 140 —

Fu l’altro fratello De Tivoli, il quale, conducendomi allo studio di lui in piazza Barbano, mi fece conoscere Giovanni Fattori. Questi, in seguito, e Telemaco Signorini furono i primi ad apprezzare il mio indirizzo artistico ed i miei procedimenti tecnici.

Con Serafino De Tivoli mi adoprai a confermare i giovani artisti nella loro rivolta contro lo stucchevole romanticismo pittorico ed a nutrirli delle nuove idee e di una miglior tecnica, onde con la loro fede, col lor molto ingegno, col loro entusiasmo desser vita ad una nuova pittura più sincera, più nobile, più espressiva.

A mantenere alti gli spiriti di quella cara gioventù artistica, nella ardua lotta che tanto coraggiosamente avea impreso a sostenere, io suggerivo ad essa di assumere per sua divisa questo baldanzoso motto:

«Noi siamo i figli dell’aquila e dobbiamo guardare il sole alto in faccia.»


In Giovanni Fattori io trovai un pittore, che tutti gli altri sorpassava per vigore di temperamento artistico, un animo rude e sincero, una volontà di ferro. Nell’animo suo, più fortemente che in ogni altro, risonava con l’amor dell’Arte quello della Patria.

Nel suo studio, però, trovai lavori di un seguace della scuola romantica, generalmente di soggetto medioevale, che a quel tempo tanto tuttora piacevano; che rivelavano talento, una certa capacità tecnica, un certo gusto, ma che pur non davano a conoscere un’arte personale. Esaminate le sue tele, i suoi bozzetti, i suoi studi non esitai a dirgli:

— Questi vostri maestri vi hanno ingannato. Voi avete un buon cervello e non ve ne accorgete!...

Da quel giorno Fattori fu sovente nel mio studio; e vi si trattenne a lungo ad esaminarvi i numerosi miei studi dal vero e specialmente il mio quadro del 1852 «Donne che imbarcano legna a Porto d’Anzio» ed i miei studi di mare della stessa