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XXXVI.

LA «GIUNTA NAZIONALE ROMANA».


Se per moltissimo Villa Giori, il fallimento della insurrezione di Roma, Mentana, l’Italia dovette alle macchinazioni ed alla politica a più faccie dei moderati toscani, per non poco, pure, sono da rimproverare alla poca risolutezza, all’ambiguità di Urbano Rattazzi, il quale era, nell’aprile di quell’anno 1867, succeduto al Ricasoli a capo del Governo. Egli avea, è vero, le mani legate dalla Convenzione di Settembre; ma ben sapeva che se Roma fosse insorta, se Garibaldi con i suoi fosse accorso, egli avrebbe avuto modo di svincolarsene e di far entrare risolutamente l’Esercito nella Eterna Città. Rattazzi questo sapeva ed, anche, faceva egli intendere di volere, per tal via, giungere a risolvere la Quistione Romana. Nonostante ciò, nulla mai egli fece perchè tali fatti potessero avvenire: nessun efficace aiuto egli, direttamente od indirettamente, dette ai Romani che volevano insorgere davvero. Due forze contrarie, evidentemente, agivano su l’animo suo di avvocato: la spinta dei più vivaci elementi che lo sostenevano, da una parte, e, dall’altra, l’influenza ed il timore di Parigi cui non sapeva sottrarsi. Egli si lasciò dominar dagli avvenimenti, invece di produrli e di governarli. Su lo svolgimento degli stessi, invece, aveva purtroppo decisiva influenza la «Consorteria» fiorentina che giocò Rattazzi e lo stesso Garibaldi; e che col suo egoistico esclusivismo fazioso, come l’anno innanzi ci condusse a Custoza ed a Lissa, ci dava nel’67 Mentana.

Sia per gli interessi ed i pregiudizi dei suoi componenti, sia per il prestigio proprio, sia anche per la soggezione sua a Napoleone III, la «Consorteria» non poteva desiderare, nè lo