Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/36

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della eccellente in casa, la migliore che si facesse in Roma; poichè mio fratello Paolo era uno dei primi pianisti e buon compositore, Don Pasquale suonava il violoncello, Don Mauro Liberatore, monaco benedettino, il flauto, un altro, benedettino, di cui non ricordo il nome, la viola, mio fratello Giuseppe il flauto ed il mandolino. Venivano, pure, a far musica in casa nostra, cantanti come Cacurri e Cocolini che ebbero, in seguito gran successo sui teatri. E vi veniva anche, a suonarvi il violino, Monsignor Morichini che venne, poi, innalzato alla porpora cardinalizia. Quantunque non ammesso nella sala, io rimaneva in estasi nell’anticamera; e, quando mi riusciva di scivolar inosservato dentro la sala, ero al colmo della felicità.

Più tardi i quadri di concerti del Giorgione mi han rammentata quell’epoca, facendo parte nei concerti in casa mia anche la moglie del mio fratello maggiore, Antonio, la quale era una Armellini, una delle più belle e più colte donne di Roma.

Anche ricordo che, andando nei giorni di festa alla Cappella Sistina, mentre vi si faceva musica antica, ho pianto nell’ascoltarla, guardando le pitture che decoran tal gran monumento.

Tornando un giorno a casa, dal Vaticano, Don Mauro Liberatore mi domandò quali pitture più mi fosser piaciute ed io risposi:

— Quelle di Pinturicchio.

Da quel giorno, per scherno, mi imposero il nome di Pinturicchio. Bisogna sapere che, a quell’epoca, questo pittore era tenuto in dispregio; quasi non si sapeva esistesse l’appartamento Borgia. Posso vantarmi di esser stato, in seguito, uno dei primi a richiamar l’attenzione su quel monumento, un dei perfetti che esistano.


Verso quel tempo là, per la prima volta, infierì in Roma il colèra. Era il 1837, io avea undici anni e mi sono rimaste impresse le spaventose scene, specialmente di notte, quando si vedeva il chiarore delle torce a vento, e, tra il lento cigolìo dei carri, si sentiva la lugubre voce dei becchini gridare: