Pagina:Racconti sardi.djvu/16

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Quello era dunque un grande avvenimento per la piccina.

— Mamma... mamma... — chiamò con un fil di voce.

Ma nessuno rispose. Fuori urlava il rovaio e la pioggia si sbatteva fragorosamente contro i vetri della piccola finestra.

Senza di ciò Gabina si sarebbe forse riaddormentata, ma con quegli urli infernali, nella fonda oscurità della cameretta solitaria, le era assolutamente impossibile nonchè riprender sonno, calmarsi.

Temeva tutti i fantasmi immaginabili: la morte, i vampiri, il padre dei venti, le fate nere e l’orco, tutti... tutti...

— Mamma... mamma?... — ripetè a voce alta mettendosi a sedere sul letto — Mamma, mamma?...

Rimase così quasi un quarto d’ora, alzando sempre più la voce, abituandosi al buio e al fragore del vento.

E siccome la madre non rispondeva mai, Gabina pensò di vestirsi e scendere in cucina per cercarla. Veramente era la mamma a vestirla ogni mattina perchè a lei, così piccola, non riusciva ancora infilarsi il giubboncello nero dalle maniche strette; ma poco importava... purchè ritrovasse la gonnellina bastava. La lasciava sempre nella sedia ai pie’ del letto: dunque bisognava scendere per ritrovarla.