Pagina:Raimondo Montecuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi.djvu/254

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avrebbe amato godersi la patria e adoperarsi in servigio del principe suo”, non poteva tuttavia accogliere il consiglio di lasciare allora il servigio imperiale. Accettava egli invece l’incarico a quel tempo affidatogli di un comando militare in Slesia, benché, al dire del Bolognesi, non fosse allora in quelle parti “né gente né fortuna”. Ma doveroso ei riteneva l’adoperarsi a secondare il desiderio della corte che lo amava, come lo stesso diplomatico scriveva, il quale aggiungeva altresì, che la morte di Golz, capo di un esercito della lega, e la prigionia di Hazfeld (presto per altro cessata) che avevano perduto il 24 di febbraio in Boemia la battaglia di Iankowitz (o Iankaw come scrivono Mailàth e Menzel, il qual ultimo disse essere stata quella battaglia la più gloriosa tra le molte vinte da Torstensson) lasciando morti duemila austro-bavari, ed altri tremila di loro prigionieri di guerra , aprivano l’adito agli altri generali, e a lui singolarmente, di ascendere a maggior dignità. Raimondo veniva intanto nominato consigliere effettivo di guerra (Bolognesi, lettera del 25 di febbraio 1645).

Innanzi di partire da Vienna erasi egli colà occupato, secondo si ha da una lettera di Francesco Mantovani agente estense in Roma, di alcune pratiche, che il Bolognesi disse poi ben avviate, per ottenere il vescovado di Vienna al cardinal d’Este, le quali fece esso proseguire da un domenicano amico suo. Ancora a questo luogo è da far menzione di una lettera del marchese Massimiliano Montecuccoli del 31 di marzo, nella quale gli annunziava venire a militare sotto di lui un figlio di Giulio suo fratello, già per noi ricordato, il quale nomavasi pur esso Raimondo, e da tre anni prendeva parte alle guerre di Fiandra. Di codesto giovane ci è narrato dal carteggio del Torresini, agente di Guastalla a Vienna che colà trattava affari anche pel duca di Modena, come vi giungesse in mala condizione, dopo essere stato svaligiato durante il viaggio. Se lo tenne amorevolmente per quindici giorni in casa quel diplomatico, per dargli agio a provvedersi dell’occorrente, e lo diceva