Pagina:Raimondo Montecuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi.djvu/330

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Di questo ritratto gemmato è menzione nel testamento di Raimondo, che dispose facesse parte di un fidecommesso da lui istituito, acciò restasse sempre nella sua famiglia. Se non fu dato al Montecuccoli di trovarsi presente all’abdicazione di Cristina, curò almeno che anche in Italia quello straordinario avvenimento fosse plaudito ed ammirato. Era a quel tempo alla corte di Modena, in officio di segretario di stato, il conte Girolamo Graziani da noi poc’anzi nominato, uomo d’ingegno non comune, che col suo poema in 26 canti intitolato: Il conquisto di Granata, da lui nel 1650 dedicato al duca Francesco I, che lo rimunerò di un’annua pensione di 200 scudi, era venuto in fama di valente poeta. A lui pertanto si rivolse Raimondo, chiedendo volesse con un suo canto celebrare il grand’atto che allora si compiva. E il Graziani, che in quell’anno medesimo vedeva ristamparsi il suo poema in Parigi, non pose tempo in mezzo a compiacerlo, né guari andò che gli mandava il poemetto: La Calisto, dichiarando nella lettera colla quale lo accompagnava, che ad istanza di lui lo aveva composto. Conseguì in parte Raimondo lo scopo che proposto si era, perché la fama di che godeva il Graziani, procacciò molti lettori a quel poemetto, stampato da prima in Parigi in quell’anno stesso dallo stampatore Courbet, poscia due volte in Modena e, come in una delle prefazioni si legge, anche in Brusselles, a Firenze e a Venezia. Non avendo però la posterità confermato il giudizio de’ contemporanei circa gli straordinarii meriti poetici del Graziani, e non trovando perciò le opere di lui chi ora imprenda a svolgerle, se Cristina non avesse saputo per altra guisa tramandare il suo nome alle età più lontane, male a questo avrebbero provveduto i versi del Graziani. Va poi notato che il poeta non si ristrinse a celebrare quella “gemma del polo” che faceva “sotto clima di ghiaccio ardere i cuori”, ma fece opportunamente menzione anche del padre di lei e de’ famosi suoi generali.

Ci rimane a dire di due Memorie sulle cose di Svezia che, copiate da un manoscritto in Venezia nel 1665, furono dall’Arckenholtz inserite in italiano nell’opera che ci lasciò sulla