Pagina:Raimondo Montecuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi.djvu/577

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Temete o Numi il fato! al gran Monarca
Morte in un soffio ha estinto
La parola, la vita, e i bei disegni;
Fur Pelj, ed Osse i mal sognati regni
Molti di fumo, e vinto
Del Mondo il vincitor chiuse brev’arca;
Non perdona la Parca,
O t’armi il fianco immenso stuol suggetto,
O virtù t’assicuri il forte petto.
   Chi più d’Adolfo per valor s’estolle?
Taccia aura adulatrice
Del Re di Pella e del Romano i gesti;
Vanta la Svevia ad onta ancor di questi,
Che l’invitta cervice
Mai latin giogo di livor segnolle;
Quei contr’a genti molle
Mosse in opime effeminate terre
Guerre, ma solo imagini di guerre.
Misera Svevia il verginal tuo fiore
Rapito ecco pur langue
A Cesare maggiore hor tributaria.
Io ‘l so che nostra cura è sciorti e a l’aria
Sudiam più algente, e ‘l sangue
Corre in rivi a innostrar l’hiberno albore
Ma nel tuo vincitore
Ti gloria, in lui, che schivo d’umil fronda
Sol de le maggior palme il crin circonda.
A chi del gran Tilly noti non sono
Trionfi , e le spoglie?
Pur spoglia ei fu de’ Gotici trionfi;
Fulvio , il secol presente or goda e gonfi,
Ch’ebbe Gustavo; io foglie
Eterne scelgo in Pindo, e ne ‘l corono;
Virtù del cielo è dono:
Bella anco nel nimico, in lui la canto
Elio, né di lor mercè defraudi il vanto. (?)
Destino il suo volere, e la sua destra
Fautrice de’ suoi voti
Non ha a stancar d’irrita prece i Dei;
Stupor! più che conflitti erge trofei,
E ne gli effetti noti
Si cela ignota a noi l’arte maestra;
Sia in piano, o in parte alpestra,