Pagina:Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia P2.pdf/133

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Camera dei Deputati — 125 — Senato della Repubblica


ix legislatura — disegni di legge e relazioni — documenti



che non può fronteggiare, senza pericolosi contraccolpi, oneri così elevati ed evidenti.

Sin dai primi mesi del 1980 Gelli, Ortolani e Tassan Din cominciano quindi a studiare le varie possibilità per reperire nuovi fondi sotto forma di partecipazione al capitale, senza comunque far perdere alla loggia il Controllo del gruppo. I vari progetti che vengono via via studiati ruotano sempre, come ampiamente rilevabile dalla documentazione rinvenuta presso Gelli, intorno a questi princìpi fondamentali e si concretizzano nel giugno del 1980 per essere formalmente esposti in una «convenzione» firmata da Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din, Roberto Calvi, Umberto Ortolani e Licio Gelli.

È questo il documento più rappresentativo dell’intera vicenda che consente la identificazione delle finalità del progetto e dei diversi ruoli svolti da ciascuno dei protagonisti. Il documento ritrovato tra le carte di Castiglion Fibocchi consta di otto cartelle, ognuna siglata dai protagonisti dell’operazione. La Commissione, attesa l’importanza, ha verificato tramite apposita perizia, che ha dato esito positivo, l’autenticità delle sigle, riconosciute peraltro anche da Rizzoli e Tassan Din.

Alla base di tutta la costruzione finanziaria viene innanzitutto posta la necessità che solo il più vulnerabile dei rappresentanti di facciata (i componenti della famiglia Rizzoli) partecipi alla fase operativa. Ad Angelo Rizzoli è quindi fatto carico, con adeguato compenso, di concentrare a suo nome tutti i diritti concernenti la parte di azioni dell’azienda capo-gruppo (20 per cento del capitale) che, pur soggetta a vincoli e condizionamenti attuati tramite l’interposizione fittizia di banche estere, figurava ancora di pertinenza della famiglia Rizzoli.

Il successivo passaggio prevede poi la suddivisione del capitale azionario in quattro pacchetti di cui due assorbenti ciascuno il 40 per cento del totale mentre il residuo capitale era ripartito in altre due quote diseguali (10,2 per cento e 9,8 per cento). Per ognuna delle suddette parti erano stabilite diverse modalità di gestione con l’intervento di Angelo Rizzoli per una di esse (40 per cento) e con l’interposizione di società-schermo per le altre tre. A questa fase avrebbe forse dovuto far seguito, almeno secondo quanto si può evincere dalla qualifica di intermediarie attribuita alle società-schermo, un ulteriore passaggio di azioni incentrato sulla successiva cessione di una parte del capitale (49,8 per cento), mentre la quota di maggioranza (50,2 per cento) rimaneva di pertinenza di una struttura che legava tra loro stabilmente (almeno per dieci anni) sia la quota intestata ad Angelo Rizzoli che il pacchetto di azioni pari al 10,2 per cento del capitale: in questa struttura pertanto la quota del 10,2 per cento veniva ad assumere valore determinante ai fini del controllo della società.

La schematica rappresentazione degli accordi stilati tra gli esponenti della loggia relativamente all’assetto della proprietà del «gruppo Rizzoli» — articolato su interventi finanziari comportanti in Italia ed all’estero complesse trasformazioni di ragioni creditorie in proprietà azionarie e che prevedevano la erogazione di una «tangente» (in oontanti e/o in azioni) pari a lire 180 miliardi — consente