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ricordi di londra. 15

— Quanto darei per veder Londra! — e il ritratto dell’attore Garrik che avevo visto in un giornale illustrato.

Poi daccapo una distrazione inesplicabile, come quella di accorgermi che avevo la barba lunga e di dimandarmi dove avrei fatto colazione.

Poi un senso vivissimo di stupore di trovarmi là, come se ci fossi piovuto dal cielo; e dopo un minuto, tutt’a un tratto, una glaciale indifferenza come se ci fossi sempre stato; e poi daccapo la meraviglia fresca del primo momento. Proprio vero, come dice sant’Agostino, che quasi non mette conto di viaggiare, tanto è più meraviglioso quello che segue nella nostra testa, di tutto quello che si può vedere di fuori!

Passai il ponte, giunsi sulla piazzetta che si apre sulla riva sinistra, mi affacciai ad una delle strade che conducono verso la cattedrale di San Paolo; — erano deserte; voltai a destra e mi trovai dopo due o tre giravolte nel mercato dei pesci, in una strada stretta, umida, nera, piena di carri e di gente da poterci appena passare; andai oltre, in mezzo a un così acuto odore di aringa, che in capo a pochi minuti avrei potuto far colezione fregandomi il pane sui panni; giunsi alla Torre famosa, la Bastiglia di Londra; le girai intorno, guardando con sospetto le sue mura sinistre; ed entrai frettolosamente nella città dei docks, col proposito di farvi un largo giro per non averci più da tornare. Strade lunghe, tortuose, fiancheggiate da muri altissimi di color fosco, senza porte e senza finestre, con mura di prigioni; gruppi di centinaia di operai immobili alle cantonate, altri gruppi che sparivano in silenzio nei vicoli oscuri: per una mezz’ora non vidi altro. Andavo innanzi per quelle strade monotone come per i meandri d’una fortezza antica, annoiato e melanconico, senza sapere dove sarei riuscito. A un certo punto, dopo un lungo girare, mi accorsi che tornavo indietro; e dovetti far nuovi e lunghi giri per mettermi sulla buona strada. M’ero lasciato addietro il dock di Santa Caterina, mi pareva d’esser vicino all’e-