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vallo, acconsentendo sottoporvi al giogo di Falaride?» Gli Imeresi compresero la morale della favola; si rifiutarono alla alleanza richiesta da Falaride, ma il tiranno fu irritatissimo contro Stesicoro. Se non che, poco tempo dopo, il poeta cadde nelle mani degli Agrigentini, e fu portato davanti al tiranno, il quale non solo non gli fece verun male, ma lo accolse amichevolmente, gli fece ricchi doni, si compiacque della seviezza de’ suoi discorsi, della armonia de’ suoi versi, e lo rimandò libero, con ogni maniera di onoranza, perchè era poeta.

Furono del rimanente fatti curiosi e notevoli le relazioni dei filosofi con i tiranni in Sicilia, e particolarmente in Siracusa. Nella stessa guisa che nei tempi favolosi gli eroi percorrevano le contrade per liberarle dai mostri, percorsero più tardi i filosofi il mondo, per francarlo dai tiranni. Ed è propriamente questo ufficio della filosofia, liberare il mondo da ogni maniera di tirannia, ufficio al quale non fallirono per certo nell’antichità i Pilagorici e gli Eleoti, nelle loro peregrinazioni filosofiche. Si portarono presso Falaride Demotele, Zenone di Elea, e Pitagora stesso, per ammonirlo a volere rinunciare alla tirannia e far ritorno alla virtù. Lo narra Jamblico, favoleggiando forse, nella vita di Pitagora, e riferisce parecchi savi colloqui che il filosofo avrebbe tenuto con Falaride. Narra che avrebbe paragonata la vita dell’uomo giusto con quella del vizioso; che avrebbe svelate le attitudini, gli errori, le passioni dell’animo umano; che avrebbe spiegata l’onnipotenza d’Iddio, per mezzo di sue opere; e che sarebbe riuscito a convincere l’incredulo Falaride. Non avrebbe passato neanco sotto silenzio le punizioni che aspettano i malvagi, parlando pure a lungo della ragione divina della virtù, delle vicende delle felicità, de’ desideri degli uomini per i beni di fortuna, per la illimitata signoria.

Ai discorsi del filosofo, avrebbe replicato lo spiritoso tiranno, non essere diversa la illimitata signoria della vita umana; che nessuno vorrebbe essere nato, se conoscesse i tormenti della vita; ma che dal momento che nacque,

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. II. 19