Pagina:Ricordi storici e pittorici d'Italia.djvu/686

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cercando invano un’uscita, e spossati dalla falica finirono per morire di paura e di fame; furono ritrovati tutti vicini gli uni agli altri, alla distanza di quattro miglia dall’ingresso, e sarebbe difficile imaginare una morte più terribile. Dopo d’allora si sono praticate di quando in quando alcune aperture, per le quali scende una luce dubbia in quelli specchi tenebrosi. La larghezza delle strade è in generale dai dodici ai sedici palmi, la loro altezza dagli otto ai dodici palmi, ed in lunghezza paiono non aver fine, e produce una profonda impressione lo aggirarsi fra le tenebre in quei corridoi sterminati, ed uniformi quanto l’eternità. Solo di quando in quando trovasi interrotta la monotomia di quella vista, da sepolcri ornati di orribili pitture, e rivestiti di stucco rossiccio, nel genere di quello di Pompei. In altri punti i sepolcri si succedono aderenti gli uni agli altri, quasi le celle di un alveare. Si direbbe che un verme sepolto nella terra abbia scavate tutte quelle gallerie, tutti quei corridoi, ed ivi le generazioni si sono succedute le une dalle altre, ivi milioni di uomini trovarono sepoltura. Mi trovavo compreso di orrore in quelle tenebre, pensando alla brevità della vila umana, al continuo avvicendarsi delle umane generazioni. Non si vedono più in quelle catacombe nè ceneri, ne ossa; dove siano andate a finire, io non lo so. Il tempo che ha distrutto ogni vestigia dell’antica Achradina, ha fatto scomparire perfino le reliquie dei morti. Greci, Romani, Cristiani, vennero ivi sepolti gli uni dopo gli altri, e difatti si trovano colà idoli pagani, piccoli bronzi, lacrimari, simboli cristiani, e vi fu rinvenuto pure un basso rilievo, rappresentante i dodici apostoli, i quali venne allogato nella cattedrale di Siracusa. In qualunque modo poi si voglia rappresentare l’idea della morte, è sempre questa identica; e che fosse uso anteriore ai tempi cristiani quello di dare ricovero ai morti nelle catacombe, resta provato dai sepolcri scavati nella pietra che si trovano nella città troglodita di Ispica, non che dalle tombe in quella forma dell’Egitto, delle Indie, e della stessa America nei tempi preistorici.