Pagina:Rimatori siculo-toscani del Dugento.djvu/166

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156 iii - i rimatori pisani

Non sentimento mai ebbi di gioia,
seguendo in lui voler fer’ed ontoso,
né mai ebbi riposo
per isperanza d’alcun ben che sia;
35e che sembrav’a me bene, era noia
e ogni vero bene, oltra gravoso,
per che sempre angoscioso
viveva dimorando in ’tal follia.
Unde perduto avia
40ogne vertù che mise in me natura,
si che solo figura
mantenea d’omo e non punto scienza
e l’alta canoscenza
de la ragion, la qual or non tutt’aggio,
45unde vivea ferale oltra selvaggio.
Del dolor che porgea in me mainerà
chero ferma cagione adimostrare,
e volendo contare
com’riformava in me suo gran tormento,
50non tormentava me di doglia fera,
come sensibil corpo in dar penare.
ma solo in disiare,
tardando ciò che m’era piacimento;
che non pò far contento
55alcuna cosa u’om’non porti amanza,
tuttor sia ’n sua possanza,
e dove porti già non possa avere.
Ah! che grev’è ’i dolere
u’ solo perda alquanto ad ella viso:
60dico tormenta, se disira fiso.
E non sentiva per lo su’ operare,
ma cagion era in ciò ch’era operato,
unde segondo stato
di natura mi dava isvariamento;
65farmi voler che non potea ’cquistare
e perder che gradivo avea ’cquistato