Pagina:Rimatori siculo-toscani del Dugento.djvu/47

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v. 61. «dobblanza». Cosi correggo la mia edizione, poiché mi pare che in tal modo corra meglio il senso, e perchè anche nella seguente canzone al v. 35 si dice: «Dunque dobblanza tenete in sentire». Vuol dire: «Mi pesa anche il dubitare (dobblanza = dubitanza, dubbio) di ciò».

Canz. II, v. 11. «Prendendo» ha L; ma non dá alcun senso, quindi bene il Gaspary lesse «prendono».

v. 15. L ha «per servire»; ma, poiché ogni strofa incomincia riprendendo le ultime parole della strofa precedente, è certo che qui si deve leggere «star servidore».

v. 55. Il Nannucci volle leggere «torte», e intese che fosse un avverbio «a torto»; ma, oltreché codesta sarebbe una forma inconsueta, è da credersi che si debba sciogliere in «tort’è», anche perchè l’Abbracciavacca prediligeva queste rime imperfette.

v. 57. L ha «porea»; ma, poiché la strofe precedente termina con «poria», per la sopraddetta ragione deve leggersi «poria».

v. 65. Nella ediz. del 1907 scrissi «né voi»; ma deve correggersi, com’è in L, «né in voi».

Canz. Ili, v. 3. Il Biadene, che giá pubblicò questa canzone, unisce «penserò» con «piager» del v. 2 e ne forma un concetto solo, quello di «piacevole pensiero»: credo invece di dover togliere l’«e» dopo «beltate» e la virgola che avevo posta dopo «pensiero», e cosí piú facilmente si può intendere: «Lo pensiero soviemmi», cioè «mi torna in mente».

v. 19: «non deggi’». Ho aggiunto l’«i» per ragioni fonetiche.

v. 29: «ch’è». Io stesso nella mia vecchia edizione ed anche il Biadene abbiamo lasciato «che»; ma certo è meglio intendere cosí: «Poiché è provato, cioè si è visto, che sotto viso dolce si nasconde cuore amaro, allora non si cela piú...».

v. 39: «ragione». Così scrivo, seguendo il Biadene ed L, sebbene P abbia «rasone».

v. 42: «bassenza». Cosi correggo «bassansa» di P., seguendo, per ragioni di rima, L.

Son. I, v. 2: «e luxuria». Nella mia precedente edizione avevo creduto aggiungere un «è» innanzi a «luxuria»; ma la risposta di fra Guittone fa presupporre una triplice necessitá affermata dall’Abbracciavacca.

Lettera I a Fra Guittone. È in L.

Son. III, v. 4: «Ed eo». Cosi è in L, e non «ecco», come errando lesse il Bottari (Lettere di fra Guittone d’Arezzo, Roma, 1745, p. 76).

v. 7: «Regno»: non «segno», come avevo creduto di leggere, per aver un senso piú chiaro, nell’ediz. del 1907. «Regno» dice veramente L.

Lettera II a Fra Guittone. È in L, da cui la riproduco. Fu giá pubblicata dal Bottari (Lettere citt., p. 77).

Son. IV, prima terzina. Com’è in L, questa terzina non dá senso. L’ho rabberciata, sciogliendo il «che» in «ch’è» nel primo verso e aggiungendo la congiunzione «e» nel terzo. Il senso allora corre spedito: «Me ne