Pagina:Rime (Andreini).djvu/228

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     Inteneriti, e per pietade aperti
     Non mi saran de la sua vista avari;
     E forse il Ciel mosso per tante, e tante
     Pene farà, che lagrimando io spenga
     Quelle fiamme, che spiran le fredd’ossa
     Accendendo d’amor gli stessi marmi.
     Ahi pur è ver, che non sì ratta corre
     A gran soffiar de’ più rabbiosi venti
     Nube, nè per lo Mar concavo Pino
     A piene vele sì veloce fugge;
     Nè con prestezza tale impetuoso
     Torrente unquà sparìo, nè giamai Serpe
     Strisciò ratto così trà l’herbe, e i fiori
     Come tosto sparisti ò buon Damone.
     Almen sì come cresce il duolo interno
     Crescessse ancor di queste luci il pianto.
     Ma (lassa) ch’io tant’hò versato humore,
     Che solo il sangue con lo spirto infermo
     Da versar mi riman per gli occhi fuore.
     Ecco s’apre la Terra, e si riveste
     Di fior, d’herbe, e di frondi. ecco à la Vite
     Impor sue leggi il Villanello industre,
     Eccolo d’aurea messe alhor, che vibra
     Ne la calda stagion suo’ raggi il Sole
     Lieto raccoglitor col ferro adunco;
     Onde le tante sue fatiche acqueta.
     Ecco la Vite del suo parto grave
     Già fatta, ond’egli l’Asinello carca;
     E mentre il dolce, e nutritivo succo
     Preme da l’uve, il rubicondo Bacco,
     L’ebbro Sileno, i Semicapri Numi,
     E i Silvani lascivi allegri stanno


Ridendo