Pagina:Rime (Andreini).djvu/257

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     Un Fonte è tal, che chi quell’acqua beve
     D’ardentissimo amor l’anima accende,
     Ne beva Tirsi, e ’n me sospiri, ed arda.
     Un Rege fù, la cui terrena spoglia
     In augello cangiar gli eterni Dei,
     E di sì varie; e vaghe penne è sparso,
     Che sembra ancor haver d’intorno il manto,
     E la corona hà pur dì penne; il nido
     Have di questo augel pietra sì rara,
     Che chiunque l’ottiene amato è sempre
     Da quella per cui porta il cor piagato;
     Deh porgi à me pietosa Luna questa
     Mirabil pietra; accioche Tirsi mio
     Non ricusi d’amar me, che l’adoro.
     Deh porgi ò Luna à nostri incanti aìta.
Tù pur in sogno à la famosa Elpina
     Dotta à l’indovinar con l’onda pura,
     E col foco, e col cribro
     Di Circe, e di Medea
     E l’herbe, e i sassi, e le parole, e i carmi
     Insegnasti cortese;
     Ed ella à noi poscia insegnolli. hor sieno
     Valide homai queste fatiche nostre.
     Deh porgi ò Luna à nostri incanti aìta.
Tù, ch’adorata se’ ne gli alti Monti
     Deh non mi riguardar con torvo ciglio.
     O de le stelle chiaro, e bel Pianeta,
     O splendor de la notte,
     O del Ciel maggior lume dopo quello
     Del tuo biondo fratello
     Il cor selvaggio, e crudo
     Vinci del crudo Tirsi; e s’unquà amasti


Q     3          Pietà