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SONETTO XVII.


D
El mio grave dolor solo io mi doglio,

Poi ch’egli ò non m’uccide, ò la durezza
     Con arme di pietà non fiede, e spezza
     Del mio spirante adamantino scoglio.
Cresce egli nel mio sen, ma l’aspro orgoglio
     Non manca già di sua natìa fierezza;
     Anzi più crudo il mio languir disprezza,
     E più gioisce alhor, ch’io più m’addoglio.
Ma di vicina gioia è forse Duce
     L’estremo duol, che ’l cor mi cinge intorno,
     E forse fia, che ’l mio tormento sgombre.
Notte così quand’è vicino il giorno
     Prìa, che dìa loco à la diurna luce
     Ne le tenebre sue raddoppia l’ombre.


SONETTO XVIII.


 

S
E quello, ond’io mi stillo à parte, à parte

Doglioso humor mai terminar non degni
     O freddo ghiaccio mio, ch’arder m’insegni
     Le mie lagrime almen consola in parte;
Ma tu, che brami sol ne le mie carte
     Sculti lasciar di tua fierezza i segni
     Mandi fiamme nel cor per gli occhi pregni
     Di pianto, e non sò dir con qual nov’arte.
O cieco al mio languir perche non diemme
     Fortuna l’esser cieca in mirar quella
     Beltà, che ’ncende i cor d’ardente zelo.
Ma de l’aspro dolor, ch’oppressa tiemme
     Forse prìa, che da me l’Alma si svella
     Tua crudeltà farà pietoso il Cielo.


B          All’-