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XVIII.
Partitevi, messer, da più cherere
quello ’nde si diparte lo mio core,
nè non s’acconci lo vostro volere
orma’ inver me di così fatto amore,
chè ’n tutto dico che no m’è ’n piacere.
Così non fosse stato mai null’ore!
ma giovanezza tene in su’ podere
manti1, cui spesso face far follore.2
Ed io, se ’n vano amor giovan’ essuta3
son nel mi’ tempo o fatto ò cosa vana,
dicovi ch’i’ ne son forte pentuta.
E parmi or dimorare in vita sana
essendomi sì ben riconosciuta
e d’ogni vanità fatta lontana.
XIX.
Gientil mia donna, ciò che voi tenere
volete, piace a me ed è dolzore,
però ched è acconcio il mio savere
in far tuttor che sia di vostr’onore;
ma dir ched i’ potesse forza avere
di dipartir, ch’i’ non fosse amadore
di voi, cui amo tanto, al mi’ parere
son cierto non poria partirne n’ fiore4.
E quanto più ci penso, più m’aiuta
lo fin pensier, e allor più ingrana
in me l’amor, che ’n voi, dite, s’attuta.
Perch’io spero ancor, donna sovrana,
trovar merzè in voi tutta compiuta
per l’umiltà ch’è ’n voi sì dolce e piana.