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un vero enigma. Col minimo dell’utilizzazione della luce cessa in certo modo lo sviluppo della pianta in condizioni naturali, cioè all’aria libera, mentre nell’esperimento e coll’esclusione della concorrenza si può facilmente riuscire ad allevare le piante anche sotto il minimo della utilizzazione relativa e fino a un limite determinato, anzi, astrazione fatta da singole eccezioni, si può, persino con l’esclusione totale della luce, portare la pianta a un certo grado di sviluppo. Ma io non mi posso qui spingere oltre in questo intricato problema, lo scopo di questo piccolo contributo essendo solo quello di rendere accessibile a un circolo più esteso di lettori il problema enunciato nel titolo.

Per finire, io vorrei accennare che il mio libro è diviso in una parte teorica e in una pratica. Nelle righe più avanti si è chiarito a che deve servire la parte teorica. Quanto a quella pratica faccio osservare, che io, non solo ho brevemente esposto in essa le ricerche fotometriche sulla cultura delle piante legnose nei giardini, nelle passeggiate, nei viali stradali, e sulla cultura delle piante nei luoghi di abitazione e nelle serre, ma anche ho brevemente riassunto quanto altri studiosi hanno compiuto nel campo della cultura botanica, a ciò incoraggiati dalle mie misurazioni fotometriche di fisiologia botanica. Fra altro sono citati nella parte pratica del libro: le misurazioni della luce per la coltura dei prati alpini, di Th. v. Wemzierts; le ricerche su l’influsso dell’ombra sulle aiuole a prato, di Stebler e Volkart; gli studi sull’importanza della luce nei boschi, di Cieslar; l’esame del bisogno di luce della vitalba, a seconda del metodo di coltura, di L. Linshauer; infine le ricerche comparative sul reddito zuccherino delle barbabietole secondo la coltura nella luce diffusa o in quella del sole, di S. Strakosch.

Vienna.