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126 arturo g. sambon

sicuramente si deve attribuire a Roberto duca (Guiscardo) o al duca Ruggiero (Borsa) suo figlio, scorgesi subito, che fra l’una e l’altra viene a frapporsi un periodo di tempo abbastanza lungo, i cui limiti forse non è facile argomentare. — Accettando quindi, con debita riserva, la classifica dello Spinelli e tenendo conto delle lettere latine che si veggono frammiste agli sformati caratteri arabici, dobbiamo fissare il conio della monetina ad un’epoca in cui già nel commercio amalfitano s’era dato un certo corso al proprio tarì.

Tuttavia questo fatto non basterebbe a indicarci quando e perchè al nome dell’Apostolo protettore d’Amalfi fu aggiunta la parola Salerno. E l’enigma può essere risoluto solamente dagli indizi che ci porge la storia delle relazioni che furono fra le due città.

La più facile supposizione sarebbe questa, che il principe di Salerno, Guaimario IV, nell’aprile 1039, allorché si rese padrone di Amalfi, facesse coniare quella moneta, volendo nei due nomi, della città e del Santo, indicare l’antica e la nuova signoria insieme congiunte. Ma io non so immaginare che il valoroso principe, s’inducesse a lasciare senza ricordo, sul tarì commemorativo, quello che più importava, cioè il proprio nome; né che egli nell’epigrafe S. Andreas Sarn avesse voluto preporre il simbolo della città soggetta al nome di quella ch’era metropoli del suo principato. D’altra parte non potendo per le stesse ragioni, persuadermi, che fu invece Gisnlfo II, durante il breve e contrastato dominio ch’ebbe di Amalfi, colui che nella zecca di Salerno, fece battere, quasi ad onta degli amalfitani, il tarì improntato col nome del loro taumaturgo, debbo porre da banda anche questa seconda supposizione. Né poi m’induco ad accettarne un’altra. Cioè, che