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pesi proporzionali desunti dai documenti, ecc. 85



Anno 809, ai 10 di ottobre. Alperto chierico riceve a livello da Jacopo, vescovo di Lucca, la corte di Tocciano nei confini della città di Saona, con altri beni spettanti al vescovato di S. Martino, obbligandosi «semper in kalendis mensis octubri ipsum censum media libra argenti reddere, idest bonos denarios numerum centum viginti tantum 1». Mezza libra francese.

Anno 813, primo di luglio. Amiprando del qd. Walfredo prende a livello dal chierico Gunfredo rettore di S. Michele Arcangelo, del luogo di Cipriano, quelle terre e beni, che a detta chiesa offrì già il qd. Peredeo vescovo di Lucca, coll’obbligo di pagare ogni anno «argentum denarios novem bonus de muneta de Papia, et de Mediolano seo de Luca 2». Nove denari carolini costituivano il solido romano: questa formola è la più completa che si abbia, essendovi dichiarata l’uniformità di valore della moneta che contemporaneamente battevasi nelle tre officine; quest’uniformità nell’anno 796 era estesa solamente alle zecche di Pavia e di Milano, come più sopra fu già veduto.

Anno 814.

«solidos duodecim quot sunt Denarios Grossi et expendivilis de moneta de Papia et Mediolano seu Lucana duodecim denarios rationati per singulos solidos 3», Dodici solidi francesi eguali a sedici solidi romani.

Non meno dimostrative pel nostro argomento furono le valutazioni del soldo d’oro. Dalla proporzione ottenuta nel soldo in argento da 12 a 9 denari, il soldo d’oro che aveva il prezzo invariabile, e che prima della riforma di Carlo Magno valeva 10 denari d’argento, doveva trovarsi corrispondente a 30 dei nuovi denari.

Il soldo d’oro corse in Italia per più lungo periodo che non fu nelle Gallie ove aveva cessato all’epoca di Pipino. Delle zecche d’Italia quella di Benevento seguitò

  1. Op. cit., T. IV, Docum. XV, p. 21.
  2. Op. cit., T. IV, Part. II, App. di Docum., pag. 19.
  3. Carli-Rubbi, Delle Monete e dell’Istituzione delle zecche d’Italia. Tom. II, p. 46 e 147.