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vite di illustri numismatici italiani 123

della sua gloria, come strenuo difensore delle origini della primitiva Società cristiana e del culto de’ nostri antichi padri.

Contemporaneamente a questa grand’opera, non cessò di dare alla luce altri suoi scritti assai eruditi su Antiche lapidi di Venafro, di Benevento, sugli Scavi della necropoli di Albano, 1875; sopra un’Iscrizione arcaica di Cuma, 1878; sull’Antica monetazione di Reggio di Calabria, 1879; sulle Prime origini della moneta italica di bronzo, 1880; sulla Via Valeria da Tivoli a Corfinio, e sulla Patria di Cicerone, 1882; e molti altri di non minore importanza, finchè pose termine all’altra insigne opera da tempo ideata sulle Monete antiche d’Italia dalla origine della monetazione fino all’impero dei Cesari. Con quest’opera, che venne pubblicata in Roma dopo la sua morte, il Garucci intese di rifare con più solidi criteri scientifici il lavoro tentato già dal Golzio, e in tempi più recenti dal suo concittadino Francesco Carelli, 1831, purgando quest’ultimo dalle monete apocrife ivi citate, e dai molti errori di attribuzione. Tenendo sempre sott’occhio e facendo gran conto del prezioso volume edito in Roma dai valentissimi padri, suoi confratelli, Giuseppe Marchi e Pietro Tessieri, nel 1839, col titolo: Aes grave del Museo Kircheriano, ovvero le monete primitive dei popoli dell’Italia media ordinate e descritte, e di quello non meno erudito di L. Sambon: Recherches sur les monnaies de la presqu’ile italique depuis leur origine jusqu’a la bataille d’Actium (Naples, 1870), facendo tesoro delle ultime scoperte e degli studî posteriori, fu in grado di pubblicare una raccolta più vasta e compiuta di quegli antichissimi e rari monumenti, e diffondendo su di essi la luce della scienza, e l’esame della critica, portò l’evidenza nello scioglimento delle più ardue questioni della numismatica primitiva. — Un giorno, mentre questo infaticabile atleta del pensiero stava seduto dinanzi al suo tavolo a correggere le ultime frasi di questa sua opera sulla numismatica, colto improvvisamente d’apoplessia, in poche ore esalò l’anima immortale in Roma il 6 maggio del 1885.

La notizia si sparse inattesa nel mondo degli scienziati, e la sua perdita, giudicata irreparabile, fu da tutti sinceramente compianta.