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32 francesco gnecchi

teri, nei quali sta specialmente la pietra di paragone per giudicare delle epoche, dovremo necessariamente ammettere che la moneta fu coniata in altra epoca, in epoca anteriore; e tale epoca potremo facilmente identificarla, dietro la scorta degli accennati elementi, in quella dei tempi d’Elagabalo o giù di lì. I numerosi denari di tipo un po’ barbaro o diremo orientale di Caracalla, Geta, Elagabalo, quelli di Giulia Socmiade, di Giulia Mesa, d’Aquilia Severa o anche d’Alessandro Severo, presentano lo stesso identico aspetto, tanto che, collocando il nostro denaro fra questi e lasciandone visibile il rovescio, lo si riterrebbe precisamente a suo posto.

Considerando finalmente anche il peso (per quanto può valere quest’argomento in monete barbare o semi-barbare) vediamo che i due denari, pesando l’uno gr. 2,900 l’altro 2,500, si accordano assai meglio con quelli di Caracalla o d’Elagabalo, i quali, stanno sempre al disotto dei tre grammi, offrendo una media di gr. 2,850 circa, che non con quelli di Massimiano Erculeo o degli Augusti suoi contemporanei, i quali eccedono sempre i tre grammi, e danno una media di gr. 3,200.

La conclusione viene dunque logica e spontanea. Il denaro non può appartenere a Massimiano Erculeo; ma, avendo tutti i caratteri di una moneta barbara e anteriore, e portando il nome di Massimiano e un ritratto ignoto, deve necessariamente appartenere a un terzo Massimiano (che cronologicamente sarebbe il primo), la cui epoca deve aggirarsi intorno al primo quarto del terzo secolo.

Ora, chi è questo terzo Massimiano che coniò moneta al suo nome e col titolo d’Augusto? Quando, dove e quale potere effimero esercitò questo ignoto tiranno? Ecco il punto sul quale, per quante ri-