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270 la tempesta


Prosp. Tu sei commosso, mio figlio, e sembri preso da spavento! Rasserenati, Ferdinando. Ora i nostri diporti sono terminati; e i nostri attori, come già te ’l dissi, spiriti erano che in aere si dileguarono, in insensibile aere. Futili così come quelle visioni, scompariranno i superbi palagi, i templi solenni, il globo stesso; sì, questo vasto globo, e tutte le sue generazioni dileguerannosi colla rapidità di quei vani prestigi, senza lasciar di loro nè solco, nè traccia. Modellati noi siamo della vana sustanza di che s’informano i sogni, e il sonno investe il corso di nostra breve vita. — Ferdinando il mio cuore geme; compatisci alla debolezza d’un vecchio: la mia povera testa vacilla; non conturbarti per tale infermità. Rientra, se il vuoi, nella mia caverna, e riposati; io percorrerò la pendice, per calmar la mia anima agitata.

Ferd. e Mir. Possiate trovar la pace.

Prosp. Addio, miei figli, addio. (Ferdinando e Miranda escono) Celere come il pensiero... Ariele, olà, mio Ariele?

(entra Ariele)

Ar. Aleggio su’ tuoi voleri. Che mi comandi?

Prosp. Spirito, n’è mestieri afforzarci contro l’assalto di Caliban.

Ar. Sì, mio signore; e quando ti presentai Cerere ebbi intenzione di parlartene; ma temei di svegliar la tua collera.

Prosp. Dimmi, dove lasciasti quei miserabili?

Ar. Già ti esposi che trovati gli avea bollenti di ebbrezza, coll’occhio ardente, e pieno d’audacia; a tale da sdegnarsi contro il vento che soffiava loro sulle gote, da sdegnarsi contro la terra perchè resisteva ai colpi dei loro piedi. Allora ho fatto intendere il suono del mio tamburo; e a quel suono, come altrettanti giovani corridori, di cui la groppa non s’è per anco assoggettata al-

    marinai ubbriachi è essa tale, sottomessi come li ha fatti alla sua potenza, da incutergli timore?
    Insinuandoci più addentro nel cuore umano, ammiriamo la profonda conoscenza che il Poeta ne aveva. È sopra tutti un vizio insopportabile alle anime generose, di cui il solo pensiero vale a conturbarle, quello dell’Ingratitudine. Prospero rammentava tutti gli obblighi che a lui strigneano Caliban, a cui avea insegnato l’arte di esprimer le proprie idee, e d’usare degli agi della vita. Le sue prime riflessioni sull’ingratitudine del mostro lo guidano naturalmente ad altre più dolorose sul delitto di suo fratello; e da questi sentimenti, di cui la sua anima è piena, vien tratto in tanto abbandono. La coscienza, che i due esseri i quali aveano ricevuto da lui i due più grandi doni della vita, l’uso della ragione e l’autorità sovrana, avessero entrambi cospirato contro i giorni del loro benefattore, deve necessariamente abbattere e scoraggire un’anima che dal buono e dal bello traea tanto argomento di vita.

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