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108 coriolano


SCENA II.

Corioli. — Il palazzo del Senato.

Entrano Tullo Aufidio e alcuni Senatori.

Sen. Onde è vostra credenza, Aufidio, che i Romani abbiano penetrati i nostri consigli, e siano istrutti del nostro proposito?

Auf. Nol pensate voi egualmente? S’accinse mai questo Stato ad un colpo ardito, che Roma non ne fosse consapevole? Ebbi una lettera, non son quattro giorni, esposta così... ma credo averla ancora... sì, eccola... (legge) Tengono un esercito pronto, ma s’ignora ove sia indirizzato: la fame è grande; il popolo si solleva. Dicesi che Cominio, Marzio, il vostro antico nemico, anche più odiato in Roma che non lo è da voi, e Tito Larzio, il prode dei prodi, saran tutti e tre preposti a quest’esercito, che ignoro ove debbasi condurre, ma che parmi verrà contro di voi. Siate cauti.

Sen. Il nostro esercito è in campo, nè mai dubitammo che Roma potesse esitare a risponderci.

Auf. Ma non eravate voi che reputavate follia il celare i nostri gran disegni finchè il momento dell’esecuzione dovesse necessariamente disvelarli? Or vedete che Roma sembra avere assistito fino alle nostre prime deliberazioni. I disegni nostri, così scoperti, non ghigneranno più al termine loro, ch’era di prendere molte città prima che Roma sapesse che eravamo in armi.

Sen. Nobile Aufidio, ricevete gli ordini, e volate alle vostre schiere. Lasciatene soli per difender Corioli. Se i Romani oseranno accamparsi sotto queste mura, riconducete l’esercito per toglierne l’assedio; ma vedrete che quei grandi apparecchi non furono fatti contro di noi.

Auf. Non dubitate di quanto vi dissi; ben ne sono istrutto. Di più aggiungerò, che già varii corpi dell’oste romana campeggiano, e s’avanzano contro di noi. Venerabili signori, io vi lascio. Se Caio Marzio ed io ci scontriamo, abbiamo giurato di combattere finchè uno dei due sia fuor di stato per sempre di nuocere.

Tutti. Gli Dei vi assistano!

Auf. E voi, venerandi, proteggano!

Sen. Addio.

2* Sen. Addio.

Tutti. Addio.                                   (escono)