Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/672

Da Wikisource.

atto primo 285

sono lieta e danzo; se è ilare, avvertitelo che mi sto inferma. Ite, e tornate.

Car. Signora, mi sembra che, se l’amate teneramente, non adottiate i mezzi necessari perch’ei vi renda lo stesso amore.

Cleop. Che debbo io fare? Che non ho io fatto?

Car. Lasciatelo seguire in tutto la sua volontà; non lo contraddite in nulla.

Cleop. Sei una stolta e m’insegneresti il mezzo di perderlo.

Car. Non lo tentate a tal punto; voi andate troppo lungi; desidero che non seguiate la vostra idea; noi finiam per odiare quegli che ci costringe a temerlo. (entra Antonio) Ma ecco Antonio.

Cleop. Sono malata e malinconica.

Ant. Duolmi di doverle rivelare il mio divisamento...

Cleop. Soccorrimi; aiutami, cara Carmiana, ad escir di questo luogo. Sento che sto per isvenire. Non posso andar più innanzi: la natura è forza che soccomba.

Ant. Ebbene, mia cara regina.....

Cleop. Ve ne prego, state lontano da me.

Ant. Che avete?

Cleop. Veggo ne’ vostri occhi che riceveste buone novelle. Che vi dice la vostra sposa?..... Potete partire. Oh! vorrei che ella non vi avesse mai accordata la libertà di venire in Egitto! Sopratutto non dica che son io che vi ritengo; io non ho alcun potere su di voi. Di lei sola siete.

Ant. Gli Dei sanno.....

Cleop. Oh! non mai regina fu sì indegnamente tradita. Nondimeno, fin dal principio, vidi il tradimento.

Ant. Cleopatra.....

Cleop. Quand’anche crollar faceste coi vostri giuramenti il trono degli Dei, come potrei io credere che il vostro cuore sia mio, che siate sincero, voi, che tradiste Fulvia? Oh! stoltezza della mia folle passione, lasciarmi sedurre da voti spergiuri, da sacramenti violati appena profferiti.

Ant. Dolcissima regina.....

Cleop. Ah! di grazia, non cercate pretesti vani per abbandonarmi: fatemi i vostri addii e partite. Allorchè mi supplicavate per rimanere, allora era il tempo di parlare; ma voi non dicevate allora di lasciarmi. — L’eternità era nei nostri labbri e ne’ nostri sguardi. La felicità stava dipinta sulle nostre fronti raggianti; non uno dei nostri sensi, non una delle nostre facoltà che non gustasse le delizie dei cieli. Ah! quelle estasi, quelle gioie sono