Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/748

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361 atto quinto

al rettile: ma chi credesse alla metà di quello che le donne dicono non sarebbe salvato per tutto ciò che esse possono fare. — Ciò che v’è di più incerto è, che il serpente è uno strano animale.

Cleop. Vattene; addio.

Clown. Vi desidero molto diletto con quest’aspide.

Cleop. Addio. (il Clown depone il canestro)

Clown. Non vi dimenticate che l’aspide agirà da suo pari.

Cleop. Sì, sì, addio!

Clown. Pensate, signora che non convien fidarsi agli aspidi, e non darli in custodia che a persone prudenti; perocchè non vi è nulla di bene da aspettarsi da siffatte bestie.

Cleop. Non pensarci, se ne avrà cura.

Clown. Non gli date nulla, ve ne prego, perocchè non vale il prezzo dell’alimento.

Cleop. Vorrà mangiar di me?

Clown. Non dovete riputarmi tanto semplice da non sapere che il diavolo stesso non vorrebbe mangiare di una donna: so bene che la donna è una vivanda degna degli Dei, allorchè il diavolo non l’ha condita. Ma in verità quei demoni d’inferno fan gran onta ai Supremi nelle donne, avvegnachè di dieci donne che creano i Numi, essi ne corrompono cinque.

Cleop. Bene sta, vattene; addio.

Clown. Sul mio onore vi auguro molta gioia con l’aspide. (esce; rientra Iras, con veste, corona, ecc.)

Cleop. Dammi la mia veste, cingimi la corona sul capo; provo un ardente desiderio di abbandonare la vita. — Tutto finì per me: il nettare d’Egitto non addolcirà più le mie labbra... affrettati, amata Iras. Mi par d’udire la voce di Antonio che mi richiami: mi par di vederlo alzarsi dal sepolcro per applaudire al mio coraggio: sembrami udirlo a schernire la fortuna di Cesare, che gli Dei danno agli uomini, per farsi perdonar poscia la loro collera. — Mio sposo, ti seguo! Proviamo col mio coraggio i miei diritti a questo dolce nome. Io sono composta di aria e di fuoco; e rendo alla terra gli altri grossolani elementi che disonorano la mia sostanza. — Terminaste i vostri ufficii? Venite dunque, e raccogliete l’ultimo sospiro delle mie labbra. Addio, gentil Carmiana; Iras, per sempre addio. (le bacia. Iras cade e muore) Oh! le mie labbra si son dunque imbevute nel veleno dell’aspide? Oimè, tu cadi? Ah se la separazione dell’uomo dalla esistenza è così dolce come in te rassembra, il dardo della morte non è che la celia di un amante, che punge, ed è desiderata. —