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Tam. Te ne siamo riconoscenti, buon Andronico.

Tit. Lo sareste certamente, se poteste leggere in fondo al mio cuore. Ma sovrano, degnatevi di sciogliermi un dubbio: l’impetuoso Virginio fece egli bene ad uccidere colle sue mani la figlia, perchè era stata disonorata?

Sat. Sì, Andronico.

Tit. Per qual ragione, potente signore?

Sat. Perchè la fanciulla non doveva sopravvivere alla sua vergogna, e rinnovar sempre colla sua presenza i dolori di suo padre.

Tit. Questa ragione è forte ed efficace. È un esempio appagante per me da seguirsi, per me che sono il più infelice dei padri. Muori, dunque, muori, Lavinia, e con te muoia la mia vergogna e i dolori che fin qui mi tribolarono. (uccide Lavinia)

Sat. Che hai tu fatto, snaturato e barbaro?

Tit. Ho uccisa quella che mi ha reso cieco a forza di piangere, e doloroso ne sono, come lo fu Virginio; ma io aveva mille motivi più di lui per compiere tale opera, e l’ho compiuta.

Sat. Che! Fu ella disonorata? Chi si rese di ciò colpevole?

Tit. Vorreste mangiare? Piaccia a Vostra Altezza di cibarsi.

Tam. Perchè uccidesti tu così la tua unica figliuola?

Tit. Non fui io; furono Chirone e Demetrio che la disonorarono e le reciser la lingua: furono essi e non io che le inflissero la morte.

Sat. Si vada tosto in traccia di loro.

Tit. Entrambi furono cucinati entro quella pentola, di cui la loro madre si è di già pasciuta: ella ha mangiata la carne formata da lei stessa. Per tale verità attesto la punta del mio coltello.     (uccide Tamora).

Sat. Muori, insensato miserabile, per sì abbominevole fatto.

(uccidendo Tito)

Luc. Può l’occhio di un figlio sostenere la vista del proprio padre agonizzante? A guiderdone, guiderdone; a morte, morte.

(uccide Saturnino. Gran tumulto. Il popolo insorge confusamente. Marco, Lucio e i loro addetti ascendono le scale che stanno dinanzi alla casa di Tito)

Mar. Romani, di cui veggo i volti costernati, e cui tanta strage atterrisce e disperde, come branco d’augelli trasportati dai venti e dal turbine della tempesta, lasciate ch’io v’insegni il modo di riunir di nuovo in un solo fascio tutte le sparse spiche, e di formare con tante membra separate un solo e medesimo corpo.

Un Senatore. Sì, per tema che Roma non divenga il flagello