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54 il re lear


Lear. Ora, tutti i flagelli che i destini appendono all’aria pei misfatti degli uomini, cadano sulle tue figlie!

Kent. Ei non ha figlie, milord.

Lear. Morte a te, traditore! Nulla può aver portata la natura a tanta abbiezione, fuorchè la ingratitudine delle sue figlie... Costume è dunque oggi, che i padri spogliati di tutto non trovino più compassione dalla carne loro?... Giudizioso castigo su questa carne che generò quelle figlie-pellicane1.

Edg. Pillicock stava sulla montagna di Pillicock, gridando ai passeggieri: allù, allù, lù, lù!

Buff. Questa fredda notte ci farà diventare tutti insensati.

Edg. Guardati dal lurido diavolo; obbedisci a’ tuoi parenti; parla giusto e onesto; non giurare; non corromper la donna che divenne sposa d’un altro; non arricchir la sposa tua di superbe vestimenta. Tom gela di freddo.

Lear. Chi fosti tu?

Edg. Un servitore superbo per cuore e per intelletto. Io arricciava i miei capelli, portava sul berretto i guanti della mia donna2, appagava i suoi desiderii amorosi commettendo con lei l’atto delle tenebre; poi proferiva più giuramenti che parole, e spergiuro diveniva alla dolce faccia del sole; poi mi addormentava stanco di libidini, e mi risvegliava per praticarne di nuove. Il vino era la mia gran passione; diligevo il giuoco, e avanzava i Turchi in amore. Fallace di cuore, pronto d’orecchio, sanguinoso di mano, io era un maiale per le immondezze, una volpe per l’astuzia, un lupo per rapacità, un cane idrofobo per ira, un leone in assannar la preda. Non abbandonare il tuo povero cuore alla femmina; temi il dolce fremito della sua veste di seta; temi la vista della sua piccola scarpa. Tien lungi il piede dai bordelli, la mano dai grembiuli, la penna dai quaderni dell’usuraio e sfida il nero diavolo. — Ma sempre fra gli spini soffia il vento freddo. Ebbene, delfino mio figlio, guizza, guizza, guizza. (la tempesta continua)

Lear. Meglio per te sarebbe l’esser nella tomba, che il dover rispondere così nudo a questo cielo adirato. — È tutto questo l’uomo? Consideralo bene, Lear. — Tu non devi al verme la seta, alla fiera la pelle, alla pecora la lana, al gatto i profumi.. Ah! tre di noi hanno smarrita la ragione; ma tu sei la stessa pazzia. L’uomo che non s’appaga dei doni della sorte, non è, come te, che un miserabile, un bruto. Via, via, accattati cenci... rimanga l’uomo qual Dio l’ha fatto.     (si straccia le vesti)

  1. Dicesi che il giovine pellicano sugga il sangue della propria madre.
  2. Uso d’allora, che indicava un amante fortunato.