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ATTO TERZO 385

bue e il cavallo dividono con me. Su via, cara Andrey, bisogna che ci sposiamo. Andiamo al tempio a celebrare il fausto imeneo.

Mar. Andate innanzi ch’io vi verrò dietro. (escono)

SCENA IV.

Innanzi a una capanna.

Entrano Rosalinda e Celia.

Ros. No, non dirmi altro: ho volontà dì piangere.

Cel. Calmati, te ne scongiuro, e pensa, di grazia, che il pianto disdice a un uomo.

Ros. Ma non ho io motivo di versarne?

Cel. Quanto aver se ne possa.

Ros. Tutto in lui è mendace.

Cel. Tranne i suoi baci.

Ros. I suoi baci son casti come la barba di un eremita.

Cel. Una monaca non darebbe baci più verecondi.

Ros. Ma perchè ha giurato che verrebbe questa mattina, e poi non viene?

Cel. In lui non è alcuna sincerità.

Ros. Lo credi? Credi ch’ei non sia sincero in amore?

Cel. Potrà esserlo, qnand’è innamorato, ma non prima.

Ros. Tu l’hai udito giurare, senza esitanza, che lo era.

Cel. Che lo era, non vuol dir che lo sia: inoltre i giuramenti d’un amante non hanno alcun peso. Egli è qui nella foresta al seguito del duca vostro padre.

Ros. Incontrai ieri il duca, con cui parlai a lungo; egli mi chiese qual era la mia famiglia, e gli risposi ch’essa poteva compotere colla sua: allora si mise a ridere, e mi lasciò andare. Ma perchè, parliam noi di padri e d’avoli, quando v’è nel mondo un uomo come Orlando?

Cel. Quello è il zerbino di moda, che adopra espressioni alla moda, fa versi alla moda, giura alla moda, e viola ogni giuramento del pari: amante falso e mal destro che sfiora soltanto il cuore della sua amata, come un giovine cavaliere i fianchi del corridore di cui paventa troppo la foga. — Chi viene? (entra Corino)

Cor. Padrona, voi mi avete spesso chiesto chi fosse quel pastore che si lagnava dell’amore, quel pastore che vedeste assiso accanto a me sui prati, vantando la superba pastorella da lui amata?

Cel. Ebbene, che hai a dirci di lui?