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fuvi chi tenne per certa cosa essere Egli dopo la morte stato per ispezial divina grazia, ed intercessione di San Gregorio, liberato dall’eterno supplizio dell’Inferno, della qual faccenda noi non vogliamo già averne più fede di quello che merita. Ora questi essendosi un dì trasferito secondo il suo costume alle magnifiche Terme per indi lavarsi nelle tepide acque, avvenne che parimente ivi un povero suo vecchio soldato si ritrovò. Il quale per gli stenti della penosa militar vita, e per la cadente sua età, nullameno che per la scarsezza del vitto, sì mendico e tristo era che appena potea movere il corpo su, non che interamente lavarlo. Il perché ingegnavasi, come poteva il meglio, di stropicciare gli omeri inverso le pietre delle Terme, e per questa maniera faceva sì che l’acque, aggiungendo loro quel picciol moto, salivano un pocolino più alto a bagnarlo, onde alquanto maggior sollievo ne traeva. Il pio Imperadore, veduta la miseria del povero uomo, e pietoso di Lui divenuto, lo addomandò della cagione. Il quale non senza lagrime agli occhi così rispose:

«ahi! Cesare invitto, che tale appunto, mercè l’eroiche tue gesta, a noi ti mostri: a tale m’ha condotto l’arte mia, ed il non aver di che sostentarmi in questa mia età ch’è per me, come tu vedi, l’ultimo crollo, sicché poco di vita io penso omai che m’avvanzi, qualora alcuno di me non ne prenda compassione».

Il che