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146 al polo australe in velocipede


e le cime degli ice-bergs oscillavano e tremavano come se quelle enormi masse fossero lì lì per perdere l’equilibrio. Di tratto in tratto, una punta od un masso, del peso di parecchie tonnellate, si staccava dall’alto e piombava con grande fracasso attorno ai ghiacci sottostanti, rimbalzando e frantumandosi. Vere nubi di uccelli marini avevano collocati i loro nidi sulle sponde del fiord. Erano Aptenodytes fosteri, uccelli assai grossi poichè pesano circa trentacinque chilogrammi, colle penne color ardesia sopra e bianche sotto e con un collare giallastro sotto il capo.

Molti covavano le uova, ma altri si trascinavano sui ghiacci aiutandosi coi loro grossi piedi palmati e colle ali che sono foggiate a pinne. Malgrado la loro pesantezza, camminavano però più lestamente d’un uomo.

— Sono buoni? chiese Bisby.

— Eccellenti, quantunque la loro carne sia nera.

— Allora la cena è assicurata.

— Vi avverto però di sezionarli, prima di metterli allo spiedo o nella pentola.

— Per qual motivo? Cosa temete?

— Di rompermi i denti.

— Non vi comprendo.

— Allora vi dirò che questi uccelli sono ghiotti di sassi. Taluni cacciatori ed anche James Ross, il noto esploratore, trovarono perfino quattro chilogrammi di pietre nel ventre di questi volatili!

— Che scambino i sassi per dolci?

— Non me l’hanno mai detto. Orsù, fuoco a volontà, o scapperanno tutti.

Quattro detonazioni echeggiarono e quattro uccelli stramazzarono sui ghiacci.

Bisby stava per precipitarsi sulla preda, quando s’arrestò bruscamente urlando:

— Fuggiamo!... Ho udito a ruggire dei leoni!...